Le caratteristiche architetture costruite a partire dal secolo XVII per la produzione degli agrumi, in particolar modo dei limoni, rimangono ancora oggi tratto distintivo del paesaggio della Riviera, ben visibili nel profilo che corre da Maderno a Limone.
Sono ormai pochissime le limonaie operative e proprio per questo il loro recupero storico ambientale ai fini culturale e didattico assume un significato profondo di rispetto ed omaggio alla storia di un popolo.
La coltura dell’ulivo rappresenta l’altra faccia della realtà agricola e sociale gardesana, si intreccia indissolubilmente con la storia e la cultura della popolazione locale e ne è immagine che ha caratterizzato anni di comunicazione turistica.
La coltivazione dell’ulivo ha subito negli ultimi decenni una graduale e significativa riduzione di superficie, ha rischiato di vedersi ridotta ad attività della memoria – come è accaduto per i limoni – ma, fortunatamente, è riuscita meritatamente ad imboccare la via del prodotto di eccellenza aprendo la strada ad un mercato ridotto nelle quantità ma sostenibile.
Testimonianze dunque, i limoni e gli ulivi, di un’antica floridezza e di una civiltà contadina che, con l’operosità ed il sacrificio, seppe fare della loro coltura una vera e propria arte.
Quest’introduzione per portare voce alla nostra amarezza nell’assistere:
1) allo stato di abbandono della limonaia in Piazzale S. d’Acquisto, a ridosso del centro storico di Maderno.
Se in un primo momento abbiamo gioito nell’apprendere dell’intervento di recupero e restauro conservativo, nel sapere di una parte del patrimonio culturale ed architettonico del nostro paese riportata “a disposizione di tutti”, in un secondo momento abbiamo dovuto osservare l’andamento altalenante dei lavori, la sofferenza procurata ad alcune piante lasciate per settimane a ridaci scoperte ed ora, a lavori ultimati ormai da mesi, ad assegnazione di gestione sancita con un provvedimento del settembre 2022 e con una bella rete di chiusura che finisce per invalidare la rimozione di quella prima esistente, guardiamo con profonda tristezza a come l’intera struttura sia totalmente trascurata.
2) alla mancanza di cura e attenzione verso il patrimonio olivicolo del Comune, che, ricordiamo, è storia ed espressione non solo di coloro che ancora credono ed investono in questa coltura ma di chiunque abbia a cuore le tradizioni e le radici del proprio paese.
Assegnato in gestione per intero (circa 1300 alberi) a titolo gratuito per ben otto anni, con l’intento, si legge nel bando, di “valorizzare il patrimonio della collettività rappresentato dagli oliveti insistenti sui terreni di proprietà comunale …” e di promuovere la “conservazione, la cura e la valorizzazione del patrimonio collettivo, finalizzato al futuro raggiungimento della qualifica di DOP”, aggiungendo che “A tal fine si rende necessaria una maggior produzione d’olio ed il mantenimento di un costante quantitativo”, di fatto, in quest’ultima stagione, caratterizzata tra l’altro da un’ottima produzione, non è stato nemmeno interessato dalla raccolta.
Buona parte delle olive sono state lasciate in pianta o, peggio, in terra a marcire.
Un’offesa al nostro sentirci parte di un territorio e a chi, come i nostri papà o i nostri nonni, saliva in pianta dall’alba al tramonto col solo aiuto delle mani e del “grümial” e non dimenticava di raccogliere, carponi, ogni oliva che cadeva a terra perché nessuna andasse sprecata.